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LA FRAGILE UNIONE ITALIANA

La terra dove ci piacerà vivere

(riportato da Vivere Veneto-05/01/2014)


Ringraziando per la traduzione la Dr.ssa Lorenzon Serena, portiamo all’attenzione un punto di vista assolutamente terzo rispetto alla nostra realtà, ma che trova molti punti in comune con quello che sempre più spesso andiamo dicendo e sentendo. Questo libro, non ancora tradotto nella nostra lingua (chissà come mai… )  sarà di sicuro spunto per molte riflessioni, buona lettura.
Popoli d'Europa


Recenti spaccature nell’Unione Europea ci ricordano che nessuna unione politica è storicamente inevitabile. Tali federazioni sono creazioni umane, istituite o per interessi personali o attraverso l’espansionismo, spesso artificiali: a volte tanto che, come nel caso della Jugoslavia, semplicemente vanno in pezzi.

Lo storico, biografo e italofilo David Gilmour afferma che l’Italia è un’altra fragile unione, e in The Pursuit of Italy (N.d.T. libro non tradotto, significa “La Ricerca dell’Italia”), afferma in modo persuasivo (se non del tutto insolito) che l’unificazione del Paese del 1861, booksbandierata dai nazionalisti come un trionfo dell’arte di governare progressista, fu un errore. Gilmour dichiara che molti italiani assennati hanno iniziato a chiedersi come mai il loro Paese è stato per così tanto tempo incontrollabilmente disfunzionale, paralizzato dalla corruzione, dal crimine organizzato e da una detestabile burocrazia, nonché governato da un interminabile parata di leader ambigui, dei quali Silvio Berlusconi è stato solo il più recente.

“Perché, si è chiesta la gente, l’Italia non ha funzionato?” scrive Gilmour.

“È stata realmente una vera nazione o semplicemente un’invenzione del XIX secolo?
A parte in senso puramente formale, si potrebbe veramente dire che esista?”

Gilmour ha tentato di rispondere a queste domande fornendo una storia alternativa dell’Italia, non seguendo la solita linea centripeta, ma sottolineando le tendenze centrifughe, di vecchia data, del Paese:

“La Nazione moderna si estende dalla città di Aosta a nord-ovest, dove la lingua ufficiale è il francese, fino alla regione di Apulia a sud-est, dove molte persone ancora oggi parlano il greco. Con i suoi 7240 chilometri di costa, la penisola è stata oggetto per secoli di innumerevoli invasioni. Il suo interno montuoso e i suoi fiumi non navigabili resero difficili le comunicazioni e incoraggiarono la crescita di una delle collezioni di civiltà più eclettiche del mondo e dialetti reciprocamente incomprensibili. italia1494Al momento dell’unificazione, solo un italiano su 40 parlava Italiano standard e la lingua diventò di uso comune solo a partire dal XX secolo.

In nessun momento, dalla caduta dell’Impero Romano al 1861, ci fu un Italia unita. Progressive onde di bizantini, lombardi, arabi, normanni, angioini, aragonesi e altri signori aiutarono a modellare la penisola in un assortimento di città-stato indipendenti e fortemente separate.

C’era Firenze, con il suo audace esperimento del governo repubblicano;

Roma, sede del potere dello Stato Pontificio, una città un tempo potente, che divenne simbolo di stagnazione e corruzione;

La Sicilia, ex granaio dell’Impero Romano, successivamente pedina politica e premio di qualsiasi potenza dominasse sul Mediterraneo; e la grande città di Napoli, che aveva, secondo Stendhal, “le vere potenzialità di una Capitale”
mentre le altre città italiane erano solo “città di provincia inflazionate.”

L’esempio di Venezia, che Gilmour presenta come “la società più armoniosa d’Italia,” è il più pertinente alle sue argomentazioni: Dalla fondazione della repubblica alla fine del VII secolo, Venezia abbandonò la terraferma e diventò una potenza adriatica. I suoi collegamenti storici e culturali erano con Bisanzio piuttosto che con Roma; il suo nemico tradizionale era Genova.

Annessione veneto

La repubblica indipendente durò 1.100 anni, considerevolmente più a lungo dell’Impero Romano, con un governo che funzionava agevolmente e un’identità comunitaria forte.

Sopravvisse fino al 1797, quando venne conquistata e dissolta da Napoleone e successivamente ceduta all’Austria. Decenni dopo, afferma Gilmour, l’annessione di Venezia al Regno d’Italia, che non fu voluta dal popolo, fu un’aberrazione nella sua storia quasi quanto la sua appartenenza alla Monarchia Asburgica e all’Impero di Napoleone.

Gilmour abilmente smantella il mito nazionale dell’unificazione e della sua serie di figure mitiche quali: Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Camillo Cavour e il Re Vittorio Emanuele II.

Il mito, scrive, fu il risultato di una propaganda imponente da parte della casa Savoia, imposta, dopo l’unificazione, attraverso una campagna nazionale di “creazione di statue e battesimo delle strade in onore degli eroici quattro.”

Quale città di provincia non ha le sue statue di Garibaldi e Vittorio Emanuele, le sue via Cavour e Piazza Mazzini? Oppure il suo Museo del Risorgimento, solitamente un edificio tetro evitato dalla popolazione italiana?

In realtà, rivela Gilmour, i quattro erano alquanto più umani che eroici:

"Vittorio Emanuele, il Re piemontese, era un reazionario anticostituzionalista che una volta aveva confidato all’ambasciatore britannico che gli unici due modi di governare gli italiani erano “le baionette e la corruzione.” I politici italiani contemporaneai lo giudicavano “un imbecille”.

Cavour, il politico piemontese indubbiamente brillante, si convertì alla causa dell’unità all’ultimo minuto: quando divenne evidente che Garibaldi avrebbe conquistato la Sicilia, Cavour pensò di annetterla al Piemonte. L’unificazione, quindi, iniziò come una “guerra di espansione” condotta da uno stato italiano, il Piemonte, contro un altro, la Sicilia.

Nonostante alcuni trionfi come il “miracolo economico” degli anni ‘50 e ’60, l’Italia unita non può essere definita una storia di successo: i suoi cittadini continuano a considerarsi più come romani, senesi o siciliani che italiani. Campanilismo, la fedeltà al proprio campanile o “ad un tipo di società storica ed essenzialmente autonoma creata secoli fa,” scrive Gilmour resta più forte della fedeltà all’idea di nazione. venetosiciliaForse, dice Gilmour, dovrebbe essere considerata una forza più che una debolezza. Egli scrive, alla maniera di precedenti  storici, quali il fiorentino del XVI secolo Francesco Gucciardini e l’intellettuale milanese del XIX secolo Carlo Cattaneo, i quali credevano che le città italiane in passato prosperassero a causa della competizione reciproca. “L’Italia unita” conclude, era “predestinata ad essere una delusione.”

È ora, quindi, di rinunciare ad un unione fallita e di ritornare all’idea di una confederazione libera? Se sì, il libro dettagliato, erudito e politicamente provocatorio di Gilmour fornisce un’immagine di come potrebbe essere una comunità di stati-nazione di questo tipo.


di Brooke Allen
Pubblicato su “The New York Times” – 2 dicembre 2011




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